giovedì 18 settembre 2008

E se la privacy riguarda anche i manifesti per strada?

Nei giorni scorsi ho letto un interessante articolo di Ennio Caretto, che racconta quanto sta succedendo a New York in questi giorni. In pratica, e semplificando molto una vicenda complessa, vi dico che alcune telecamere sono state poste dietro i cartelloni per studiare le caratteristiche di chi mostra interesse per i prodotti reclamizzati. In pratica la pubblicità spia chi la guarda. I passanti sono ritratti e classificati e viene registrato anche il tempo della sosta davanti al cartellone e l'espressione del viso di chi guarda.

Ecco il testo dell'articolo di Ennio Caretto, tratto dal Corriere della sera del 1° giugno 2008.

Penso sia utile per aprire un dibattito e preparare ad una riflessione cui vorrei dedicare qualcuno dei prossimi post.

Attenti a quel cartellone pubblicitario elettronico, è una spia. Questo il messaggio trasmesso ieri dal New York Times ai suoi lettori a proposito delle nuove reclame stradali di Manhattan. I nuovi cartelloni elettronici, ammonisce il giornale, vi fotografano. Peggio, vi analizzano per determinare la vostra età, il vostro sesso, il vostro vestito e, possibilmente, il vostro portafoglio, oltre che i vostri gusti. E mandano il tutto a una banca dati che dal vostro aspetto e atteggiamento deduce se la reclame sia efficace o no. «La banca dati giura che non tiene le vostre foto né vi scheda, ma c' è da fidarsi?», si chiede il New York Times. A trasformare il tradizionale, innocuo cartellone pubblicitario in un Grande fratello è una macchina fotografica con computer nascosta al suo interno. Chi si ferma a guardare la reclame viene ritratto e classificato: un' agiata signora di mezza età, un anziano pensionato, una ragazzina dispettosa e così via. La macchina registra anche altri dati: quanto tempo uno sosta davanti al cartellone, che espressione ha. In genere, i nuovi cartelloni elettronici attirano i passanti perché trasmettono brevi video, come la tv e Internet. Un' invenzione della «Quividi», dal latino Qui vedo, di base a Parigi. Uno dei fondatori, Paolo Prandoni, scienziato italiano con tre lauree (la prima all' università di Padova), spiega che hanno un unico obbiettivo: consentire alle aziende che li usano di trovare la clientela più adatta. «Con Internet e con la tv - sottolinea - è molto facile fare della reclame mirata perché si sa quali siti vengono visitati di più, o quale audience esista per ciascuna categoria di consumatori. La reclame stradale invece è stata sempre fatta alla cieca. Adesso non lo sarà più». E ora si scopre che i cartelloni della Quividi, prima di sbarcare a Manhattan, sono stati adottati altrove: per una squadra di calcio di Filadelfia, in alcuni negozi Ikea in Europa, nei McDonald di Singapore. E un' altra ditta, la Trumedia tecnologies, ne ha appena installati una trentina in vari Paesi in via sperimentale. Lo slogan della Trumedia, che con le sue telecamere intelligenti svolge opera di sorveglianza in Israele, è «ogni faccia conta». Come Prandoni, il suo direttore, George Murphy, sostiene che si tratta soltanto di «ammodernare un veicolo pubblicitario antiquato». Ma le associazioni delle libertà civili non sono d' accordo. Lee Tien, il legale della Fondazione frontiere elettroniche, protesta che è una violazione del diritto dei cittadini alla riservatezza. «Queste macchine fotografiche sono praticamente invisibili. Il pubblico può accettare che le banche impieghino le telecamere per prevenire il crimine, ma non che si spii su di loro quando camminano per istrada». Il New York Times ricorda che in Inghilterra sono state installate 4 milioni 200 mila telecamere, una ogni 14 persone. E pone il quesito se sia lecito aggiungere all' intrusione dello Stato anche quella delle aziende private.