Li vedo così sicuri di sé e così convinti di essere sempre e comunque dalla parte dei giusti che non credo abbiano dubbi. In realtà il fenomeno non è affatto diminuito, ma loro si comportano come se avessero stravinto. Dai primi anni Ottanta i guru della riservatezza del consumatore hanno invaso le trasmissioni televisive e radiofoniche, ingaggiando una battaglia senza confine contro i cattivi e con un solo obiettivo: far sparire dalla cassetta della posta i plichi che ci annunciavano di aver (quasi vinto) un concorso cui non avevamo partecipato, le pubblicità moleste con gli sconti e le lettere con informazioni indesiderate.
Il campione di questo atteggiamento resta per me quel giornalista che l’otto maggio 1997, dimostrando di non aver capito nulla di ciò di cui scriveva, salutò l’entrata in vigore della legge sulla tutela dei dati personali con un articolo che dalla prima pagine di un quotidiano a tiratura nazionale esultava con il titolo “ Libertà per la mia posta” con tanto di punto esclamativo finale.
Oggi, in apparenza, quel flusso di messaggi postali si è attenuato e all’apertura della casella sul portone di casa non siamo più travolti dalla cascata di corrispondenza commerciale cui eravamo abituati. Merito della legge sulla privacy?
Non credo. Merito dell'e-mail, semmai. Che in realtà non ha cancellato nessuno dei fastidi di chi non sopporta la comunicazione commerciale indirizzata; li ha semplicemente trasferiti nel cyberspazio: dal nostro indirizzo fisico a quello virtuale.
Dopo anni di leggi sulla privacy, dobbiamo rassegnarci: lo spamming corre più veloce delle norme. Certo nessuno potrebbe usare il nostro indirizzo di posta elettronica senza in nostro consenso preventivo espresso. E’ un nostro diritto impedire gli abusi e perseguire chi non rispetta la nostra aspettativa di non essere disturbati. Sarà. Ma ormai, accedendo alla nostra casella di posta elettronica, ci siamo rassegnati a convivere con quotidiane offerte che ci promettono capigliature rigogliose e crescite miracolose di muscoli ed organi vari. E, ovviamente, ci invitano a ritirare il premio della lotteria elettronica per la quale non abbiamo mai comprato l'e-ticket. Oppure ci avvertono che qualcuno ha cercato di accedere ad un conto corrente home banking che non abbiamo mai avuto, invitandoci a cambiare la nostra riservatissima password di accesso.
Così mentre i guru dei consumatori predicano il verbo della privacy e magnificano le loro vittorie di Pirro contro la comunicazione pubblicitaria invadente io, sommessamente, propongo alla riflessione del lettore tre cose essenziali che interessano molto chi si occupa delle relazioni tra diritto e marketing:
2) dopo diversi anni stiamo capendo tutti quanti che questa cascata di norme che sommergono il cittadino per offrirgli protezione dall'invadenza dei messaggi promozionali, sconsolatamente non è servita a nulla. Queste leggi non sono efficaci. Dovremo studiare altre soluzioni per proteggerci realmente da chi ci disturba.
3) La privacy, non c'entra niente con questo tipo di questioni. Invocarla è un clamoroso errore di prospettiva. Dovremmo parlare invece di come regolamentare l'aspettativa di chi non vuole essere destinatario di messaggi promozionali. Ma la questione va esaminata rispetto a tutti gli strumenti di comunicazione, non solo in relazione all'invio di messaggi indirizzati. E' arrivato il tempo di affrontare questo tema integralmente. Non è solo un problema di messaggi postali, di mail, di telefonate. E' anche questione di spot televisivi, di sponsorizzazioni, di affissioni, di messaggi promozionali nei cinema, prima che inizi lo spettacolo. Insomma non è una questione relativa al mezzo che si utilizza per inviare il messaggio promozionale. Va esaminato il fenomeno nel suo complesso.